"La mia invenzione è destinata a non avere alcun successo commerciale."
Louis Loumière

martedì 25 marzo 2014

American Horror Story o Big Fish? Sopravvissuta ad Asylum

Rieccomi qui solo per voi. 
No, scherzavo. 
Avendo poco o nulla da fare, ho deciso di lasciarvi qualche riga acida e antipatica sulla seconda stagione di American Horror Story. 
Buona lettura mie provoline!


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American Horror Story Asylum è la prova evidente che i sequel sono sempre tragici errori e andrebbero, per questo, estirpati dalla faccia della terra.
Cari registi, il voto finale rasenta la sufficienza
Nonostante il disastroso finale, la prima stagione Murder House è stata nel complesso molto bella e interessante (ne abbiamo parlato a lungo nel post precedente), ricca di colpi di scena e momenti di vero...horror, finalmente.
Per questo motivo ho iniziato a guardare la seconda serie con un certo ottimismo, convinta che i registi e gli attori fossero in grado di continuare alla perfezione una ficiton tanto studiata. 
E invece, ecco che mi ritrovo di fronte una pellicola aborto. 
Asylum è la sorellastra, la spina del fianco di Murder House, un sequel che non può minimamente competere nè continuare la saga horror di American. 
Guardando Asylum mi è sembrato di osservare un film gotico di Tim Burton piuttosto che un terrificante horror. 
Salvo le ambientazioni (losche e tenebrose al punto giusto), Asylum non ha una storia, una logica, un filo conduttore in grado di dare un perché al tutto. 
Insomma, è un nonsense a 360° che cerca ironicamente e tristemente di imitare la prima serie. 

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L'ambientazione questa volta è un manicomio, un luogo indubbiamente interessante sia per creare un ottimo horror, sia per continuare la denuncia verso la società americana di ieri e di oggi. 
Diciamo che i registi provano nell'impresa, ma i successi sono scarsissimi.
Certo, è interessante notare la condizione disumana dei malati mentali (una realtà spesso scomoda alla storia umana, come tante altre) e la generale ipocrisia delle autorità religiose che gestiscono il centro, più interessate al denaro e alla fama anziché alla povertà evangelica (un argomento molto delicato da tirare in ballo). 
Il malus è che queste due belle tematiche, almeno a parer mio, non sono state sfruttate appieno e hanno finito col perdersi nel labirinto vertiginoso della storia. 

Nel giro di poche puntate sono entrati in gioco personaggi e storie che, a differenza della prima stagione, risultano eccessivi alla narrazione, scoordinati tra loro e senza un valido perché.
Asylum è una vera e propria insalata russa. 
Abbiamo un thriller di prigionieri che tentano la fuga dal manicomio, una suora indemoniata, un'altra in crisi esistenziale, un folle omicida, uno scienziato pazzo-nazista e, per concludere in bellezza...
ALIENI CHE RAPISCONO PERSONE PER METTERLE INCINTE. 
AH, NO, C'È ANNA FRANK.

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...Cari Registi.
In Murder House tutto ruotava attorno alla casa stregata, ognuno dei personaggi riusciva ad avere un senso logico e un retroscena valido.
Era una narrazione semplice ma ricca al tempo stesso di personaggi e tematiche facilmente intrecciabili. 
In Asylum mi avete fatto sfilare davanti centinaia di personaggi e storie troppo lontane tra loro per essere degnamente collegate.
Siamo diventati sbruffoni? La prima stagione vi ha esaltato a tal punto da voler creare colossi ingestibili come questo schifo? Ma stiamo parlando con i registi di American o di Cloud Atlas??
Sarà scema io, ma di Asylum mi è piaciuto poco o nulla. 

Per non parlare poi del FINALE (piccolo spoiler)!
Come tutti gli horror che si rispettino, i produttori hanno ben pensato a un Happy Ending con tanto di lacrime e sorrisi. 
Ma dove stiamo? 
Certo, si poteva finire comunque bene ma...non in questo modo. 
Alcuni personaggi escono di scena prima del tempo, altri finiscono con il creare una storia nella storia, altri ancora si rovinano da soli così, senza un perché. 
Altri ancora, spariscono e basta.
No, ragazzi. 
Non è così che si dirige un American


Ps. SI.
"The Name Game" è paradossalmente il momento più logico e amato di tutta la stagione. 


giovedì 13 marzo 2014

Un Giudizio su American Horror Story - Murder House

Premessa: per la serie di American ho deciso di rompere un po' le righe della formalità, in modo da potervi scrivere il mio parere a caldo e avere da subito un buon riscontro. 
Divertitevi!

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Iniziamo dal voto: 7
E’ nel complesso una bella fiction, l’unica su questo pianeta che è riuscita a “spaventarmi”. 
Diciamocelo, l’horror di oggi è una cagata pazzesca! (cit.)
Gli attori e in generale la storia riescono a essere molto inquietanti; ciò è dovuto probabilmente al fatto che entrambi i registi hanno saputo far leva sulle nostre paure preferite incanalandole in tutti quei soggetti “socialmente innocui” e, per questo, inconsciamente temuti: bambini, diversamente abili, anziani e neonati. 
La storia non è poi così originale, ruota tutto attorno a una casa stregata e ai suoi orrori. 
Ciò che rende interessante la fiction è, come ho detto, l’insieme dei personaggi, le loro singole storie e i loro retroscena. 
Ognuno è diverso dall'altro, misterioso e legato a episodi del passato che scopriamo puntata per puntata attraverso flashback. Tutti sanno stare al loro posto; anche il più antipatico riesce ad avere un suo perché e convincere gli spettatori. 

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Mi è piaciuta molto anche la scelta degli attori, tutti bravissimi e capaci di immedesimarsi in soggetti difficilmente rappresentabili (sfido chiunque a recitare certe scene!). 
Non mi sono stupita di ritrovarli tutti (o quasi) nella seconda stagione!
Un applauso va in particolare alla bravissima Jessica Lange (la cui voce e movimenti ricordano parecchio l’affascinante Meryl Streep) e alla sua bravissima doppiatrice Micaela Esdra (la stessa che doppiò Helena Carter in Fight Club…a buon intenditore!). 
Un altro attore da riempire di lodi è il giovane Evan Peters, futura star del cinema e innovativo “James Dean dell’horror”. 
Bello, tenebroso e bravissimo nel suo ruolo. 
Altro che vampiri sbrilluccicosi!

Un’altra cosa che mi ha colpito nella fiction è il vasto insieme di tematiche che tratta. 
Già dalla prima puntata si capisce che American Horror Story non è un horror come tutti gli altri. 
La storia fa leva sulle nostre paure e i nostri desideri più nascosti, sulla perversione e su tutti quei tabù che accompagnano la vita di ogni essere umano. 
Troviamo figure e tematiche “socialmente scandalose”, che mirano da una parte a suscitare paura ma, dall'altra, ad aprire una feroce critica sulla società del ventunesimo secolo: coppie gay che vogliono avere figli e vivere come tutti gli altri, bambini down coinvolti in un rapporto sadico e morboso con i propri genitori, adolescenti trascurati che non riescono a essere capiti dal mondo e che, per questo, si tramutano in mostri violenti e disperati (terrificante la scena degli omicidi nel college, un’amara verità americana). 
Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti, nessuno sfugge alla denuncia di questa fiction innovativa. 

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Ma allora perché questo scarso 7 di voto?
Una cosa, purtroppo, mi è dispiaciuta di tutta la storia: il finale
Dopo aver guardato ben 11 puntate con il fiato sospeso, la paura negli occhi e mille domande per la testa, ecco che arriva la conclusione a far crollare (o quasi) l’enorme lavoro dei registi. 
Uno sbaglio dietro l’altro. 
La fiction, da seria qual’era, termina con un finale nonsense, ironico e patetico rispetto a tutta la sostanza. 
E’ come se i registi si fossero accorti di avere poco tempo a disposizione e avessero preferito concludere tutto in fretta e furia, senza tener minimamente conto del filo logico dell’intera storia. 
Mi sono vista davanti personaggi senza uno scopo, momenti di serietà rovinati da omicidi accidentali e ironici nello stile de “Le Comiche” (ci mancavano solo le onomatopee CRASH, SOB, BUM dei fumetti, davvero). 


!!!SPOILER!!! (FINALE)
Vivien muore di parto. Ci può anche stare, visto che ospitava nel suo ventre un adorabile non morto. 
Il padre, ancora vivo, riceve in affido questo bambino e promette alla moglie fantasma di amarlo e di vivere esclusivamente per lui. 
Fin qua tutto bene, è una promessa e il momento è toccante (come sapete Vivien compare nel momento in cui Ben tenta il suicidio per raggiungerla). 
…E cosa succede, poi?
Cinque secondi dopo il marito viene fermato dai poltergeist della casa, che prendono il bambino senza un motivo valido (tenerselo? Non sembra, visto che se lo fanno sfuggire poco dopo) e uccidono Ben. 
Ho ancora nella testa l’immagine di Vivien con il broncio/mezzo sorriso, le braccia conserte e il suo scuotere la testa con fare ironico, rassegnato.
Ben, fantasma, le compare vicino alzando le spalle del tipo OPS! CHE PASTICCIO!
Ma dove stiamo, alla Premiata Ditta? 
Segue poi la vicenda della famiglia fantasma riunita (Vivien, Violet e Ben) che cerca di far scappare i nuovi acquirenti della casa facendo vere e proprie scenette alla Paperissima Sprint. 
Ci mancavano solo le paperelle e il Ballo del Qua Qua in sottofondo. 

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Per il resto, nulla da aggiungere. 
Questo è solo un mio parere personale, ho sentito molti di voi esprimere pareri bellissimi su questo finale. 
Forse sono io a non comprenderlo; forse questa chiusura è l’ennesimo scacco matto dei registi per aumentare un’ultima volta la stranezza della fiction. 
Non so, ragazzi. 
Mi aspettavo una conclusione molto più horror e raccapricciante, più chiusa, lugubre, degna di questa fiction superpremiata e amata da tutti, persino dalla critica!

Voi che ne pensate? Lasciate un commento!