"La mia invenzione è destinata a non avere alcun successo commerciale."
Louis Loumière

giovedì 19 giugno 2014

Una recensione inaspettata: L'attacco dei Giganti!

Voto: 8


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Buonasera a tutti e cinque gli utenti che leggono il blog.
Visto che ho un evidente spirito masochista, ho deciso che questo post sarà dedicato ad un anime giapponese molto noto tra i più: stiamo parlando di Shingeki no Kyojin che, tradotto per fare meno i fighi, diventa L'attacco dei Giganti.Lo so, lo so. È un titolo odi et amo, piaciuto ad alcuni e odiato da altri per svariati motivi.
Con questo post cercherò di farvi capire la mia posizione, più “ibrida” che estremista.Ma partiamo dall'inizio.Ho conosciuto l'anime grazie ad alcuni amici.La trama è apparentemente molto semplice: in un Medioevo alternativo assistiamo alla lotta sanguinosa tra l'umanità e i “Giganti”, creature mostruose comparse misteriosamente e decise a estinguere la razza umana. Chi vincerà? (mi fermo sennò via con gli spoiler!).Come per la maggior parte delle animazioni giapponesi sapevo dell'esistenza del manga, ma per istinto e curiosità ho deciso di fare l'eretica e approcciarmi prima al cartone.
Mai fu fatta scelta più saggia.

Non sono una fanatica di manga e anime, anzi, state parlando con una persona fin troppo occidentale: salvo per le mangiate di sushi e le centinaia puntate di Dragonball, infatti, la mia infanzia l'ho trascorsa leggendo romanzi e guardando Disney.
Insomma, sono una persona orribile.
Motivo per cui, quando ho iniziato a guardarmi L'Attacco, non vi nascondo di aver covato sin da subito un certo scetticismo made in Europe.
Sarà la solita giapponesata, dove i cattivi saranno sconfitti dal solito idiota e dalla sua amabile spasimante, bla bla bla.”
Cinque minuti dopo l'inizio, i miei pensieri si sono raccolti e trasmutati in un unica soave parola, che forse non si dovrebbe nemmeno scrivere in un blog intelligente (…) come questo.
Porcatroia.

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Morti, sangue, giganti, urla, lacrime.
La prima puntata di Attacco dei Giganti è l'inferno in tutto e per tutto. In soli 24 minuti (e sottolineo 24) l'autore ha mostrato l'inimmaginabile, ha portato negli occhi dello spettatore tutta l'angoscia, il terrore e il senso di vuoto provato dai personaggi.
Il tutto accompagnato da una colonna sonora...beh, dire maestosa è ancora poco.
Un insieme di archi e timpani alimentato da un coro maschile e femminile perfettamente allineato con il ritmo in crescendo della musica, a sua volta assecondata alle sequenze dell'animazione.
Ragazzi, non è da me dirlo ma questa è una di quelle poche opere capaci di trasmettere, allo spettatore, un obiettivo da tempo estintosi nella maggior parte delle case di produzione.
La scontatezza dei dialoghi e del finale, la piattezza dei personaggi e della storia sono difetti che sicuramente non troverete in un anime come questo.
Di Attacco si può dire tutto fuorché che sia banale o scontato. Con Shingeki piangi con i protagonisti e ti nascondi di fronte ai Giganti, creature nell'immaginario collettivo banali ma qui indubbiamente terrificanti.
Nudi, sguardo vacuo e sorriso. La ricetta perfetta per tornare bambini e nasconderci sotto le coperte. I giganti sono la morte e la fine dell'umanità.
Non servono i dialoghi a capirlo, basta ascoltare i loro passi e osservare i loro volti.

No...cioè...ripasso dopo magari...
Riuscirà l'umanità rimasta ad affrontare il suo più grande nemico? Ci sono davvero speranze? Cosa si nasconde dietro quelle creature mostruose? Via via che passano le puntate, le stesse vicende si complicheranno aprendo via via più interrogativi e lasciandovi fino all'ultimo con il fiato sospeso.
Una sofferenza con cui dovrete imparare a convivere, visto che la fine dell'anime, anzi, del manga non è stata ancora decisa.
Quindi sì, amici miei. Se siete intenzionati a guardarvi L'Attacco dei Giganti, sappiate che l'anime s'interrompe alla puntata 25 e il manga al volume 14.
E qui, arriviamo alle note dolenti.
Già, perché dopo essermi sparata come un cannone tutte le puntate, mi sono fiondata sul manga, vinta dalla curiosità di sapere altre informazioni ed evoluzioni sulla storia.
Non l'avessi mai fatto.
Sarà la mia mentalità europea, sarà che di manga ne capisco poco ma...quello di Attacco dei Giganti è veramente brutto.
Rispetto all'anime, che come abbiamo detto è Tanta roba, il manga è piatto come una sogliola.
Emozioni a zero, disegni bruttissimi (specialmente gli umani, che sono un insulto al disegno giapponese) e noia nel leggerlo, anche quando si tratta di momenti veramente importanti.
Penso sia per questo motivo che Attacco si sia guadagnato una così ampia schiera di haters (senza contare gli avversari di tutto-ciò-che-possa-diventare-potenzialmente-commerciale → quindi tutto).
Forse è una tattica del disegnatore eh, che preferisce dettagliare i giganti e scarabocchiare gli umani...non lo so.
A me proprio non convince, non piace, non garba!


...Non mi garba, Gaspare!
Un buon fumetto non si vede dall'anime, non ci sono scuse!oppure “Troppo commerciale, troppo bimbominkia” vi sentirete dire dai sensei giappo/nerd.
Che dire, se si parla del manga posso anche comprenderli, ma non mi va nemmeno di voltare le spalle a uno degli anime a parer mio più belli visti finora.
Poi, ragazzi, le emozioni sono soggettive e probabilmente non è riuscito a trasmettere le stesse cose all'intero globo. Ci sarà sicuramente qualcuno che di fronte a gente sbranata viva ha semplicemente esclamato un “Tutto qui?” per grattarsi poi le palle e chi, invece, si è innamorato perdutamente del manga.
Insomma, il mondo è bello perché vario!
Quello in cui spero ora, per concludere il post, è che l'autore riesca a concludere degnamente un'opera come questa, che non si perda in un bicchier d'acqua e che sappia dare una risposta alle tremila domande che ci ha lasciato in testa.
E, soprattutto...CHE CONTINUI QUEL CAVOLO DI ANIME!!! RIVOGLIO I MIEI CORI!


Vi saluto, vado a coccolarmi con la Soundtrack ufficiale. 


martedì 25 marzo 2014

American Horror Story o Big Fish? Sopravvissuta ad Asylum

Rieccomi qui solo per voi. 
No, scherzavo. 
Avendo poco o nulla da fare, ho deciso di lasciarvi qualche riga acida e antipatica sulla seconda stagione di American Horror Story. 
Buona lettura mie provoline!


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American Horror Story Asylum è la prova evidente che i sequel sono sempre tragici errori e andrebbero, per questo, estirpati dalla faccia della terra.
Cari registi, il voto finale rasenta la sufficienza
Nonostante il disastroso finale, la prima stagione Murder House è stata nel complesso molto bella e interessante (ne abbiamo parlato a lungo nel post precedente), ricca di colpi di scena e momenti di vero...horror, finalmente.
Per questo motivo ho iniziato a guardare la seconda serie con un certo ottimismo, convinta che i registi e gli attori fossero in grado di continuare alla perfezione una ficiton tanto studiata. 
E invece, ecco che mi ritrovo di fronte una pellicola aborto. 
Asylum è la sorellastra, la spina del fianco di Murder House, un sequel che non può minimamente competere nè continuare la saga horror di American. 
Guardando Asylum mi è sembrato di osservare un film gotico di Tim Burton piuttosto che un terrificante horror. 
Salvo le ambientazioni (losche e tenebrose al punto giusto), Asylum non ha una storia, una logica, un filo conduttore in grado di dare un perché al tutto. 
Insomma, è un nonsense a 360° che cerca ironicamente e tristemente di imitare la prima serie. 

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L'ambientazione questa volta è un manicomio, un luogo indubbiamente interessante sia per creare un ottimo horror, sia per continuare la denuncia verso la società americana di ieri e di oggi. 
Diciamo che i registi provano nell'impresa, ma i successi sono scarsissimi.
Certo, è interessante notare la condizione disumana dei malati mentali (una realtà spesso scomoda alla storia umana, come tante altre) e la generale ipocrisia delle autorità religiose che gestiscono il centro, più interessate al denaro e alla fama anziché alla povertà evangelica (un argomento molto delicato da tirare in ballo). 
Il malus è che queste due belle tematiche, almeno a parer mio, non sono state sfruttate appieno e hanno finito col perdersi nel labirinto vertiginoso della storia. 

Nel giro di poche puntate sono entrati in gioco personaggi e storie che, a differenza della prima stagione, risultano eccessivi alla narrazione, scoordinati tra loro e senza un valido perché.
Asylum è una vera e propria insalata russa. 
Abbiamo un thriller di prigionieri che tentano la fuga dal manicomio, una suora indemoniata, un'altra in crisi esistenziale, un folle omicida, uno scienziato pazzo-nazista e, per concludere in bellezza...
ALIENI CHE RAPISCONO PERSONE PER METTERLE INCINTE. 
AH, NO, C'È ANNA FRANK.

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...Cari Registi.
In Murder House tutto ruotava attorno alla casa stregata, ognuno dei personaggi riusciva ad avere un senso logico e un retroscena valido.
Era una narrazione semplice ma ricca al tempo stesso di personaggi e tematiche facilmente intrecciabili. 
In Asylum mi avete fatto sfilare davanti centinaia di personaggi e storie troppo lontane tra loro per essere degnamente collegate.
Siamo diventati sbruffoni? La prima stagione vi ha esaltato a tal punto da voler creare colossi ingestibili come questo schifo? Ma stiamo parlando con i registi di American o di Cloud Atlas??
Sarà scema io, ma di Asylum mi è piaciuto poco o nulla. 

Per non parlare poi del FINALE (piccolo spoiler)!
Come tutti gli horror che si rispettino, i produttori hanno ben pensato a un Happy Ending con tanto di lacrime e sorrisi. 
Ma dove stiamo? 
Certo, si poteva finire comunque bene ma...non in questo modo. 
Alcuni personaggi escono di scena prima del tempo, altri finiscono con il creare una storia nella storia, altri ancora si rovinano da soli così, senza un perché. 
Altri ancora, spariscono e basta.
No, ragazzi. 
Non è così che si dirige un American


Ps. SI.
"The Name Game" è paradossalmente il momento più logico e amato di tutta la stagione. 


giovedì 13 marzo 2014

Un Giudizio su American Horror Story - Murder House

Premessa: per la serie di American ho deciso di rompere un po' le righe della formalità, in modo da potervi scrivere il mio parere a caldo e avere da subito un buon riscontro. 
Divertitevi!

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Iniziamo dal voto: 7
E’ nel complesso una bella fiction, l’unica su questo pianeta che è riuscita a “spaventarmi”. 
Diciamocelo, l’horror di oggi è una cagata pazzesca! (cit.)
Gli attori e in generale la storia riescono a essere molto inquietanti; ciò è dovuto probabilmente al fatto che entrambi i registi hanno saputo far leva sulle nostre paure preferite incanalandole in tutti quei soggetti “socialmente innocui” e, per questo, inconsciamente temuti: bambini, diversamente abili, anziani e neonati. 
La storia non è poi così originale, ruota tutto attorno a una casa stregata e ai suoi orrori. 
Ciò che rende interessante la fiction è, come ho detto, l’insieme dei personaggi, le loro singole storie e i loro retroscena. 
Ognuno è diverso dall'altro, misterioso e legato a episodi del passato che scopriamo puntata per puntata attraverso flashback. Tutti sanno stare al loro posto; anche il più antipatico riesce ad avere un suo perché e convincere gli spettatori. 

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Mi è piaciuta molto anche la scelta degli attori, tutti bravissimi e capaci di immedesimarsi in soggetti difficilmente rappresentabili (sfido chiunque a recitare certe scene!). 
Non mi sono stupita di ritrovarli tutti (o quasi) nella seconda stagione!
Un applauso va in particolare alla bravissima Jessica Lange (la cui voce e movimenti ricordano parecchio l’affascinante Meryl Streep) e alla sua bravissima doppiatrice Micaela Esdra (la stessa che doppiò Helena Carter in Fight Club…a buon intenditore!). 
Un altro attore da riempire di lodi è il giovane Evan Peters, futura star del cinema e innovativo “James Dean dell’horror”. 
Bello, tenebroso e bravissimo nel suo ruolo. 
Altro che vampiri sbrilluccicosi!

Un’altra cosa che mi ha colpito nella fiction è il vasto insieme di tematiche che tratta. 
Già dalla prima puntata si capisce che American Horror Story non è un horror come tutti gli altri. 
La storia fa leva sulle nostre paure e i nostri desideri più nascosti, sulla perversione e su tutti quei tabù che accompagnano la vita di ogni essere umano. 
Troviamo figure e tematiche “socialmente scandalose”, che mirano da una parte a suscitare paura ma, dall'altra, ad aprire una feroce critica sulla società del ventunesimo secolo: coppie gay che vogliono avere figli e vivere come tutti gli altri, bambini down coinvolti in un rapporto sadico e morboso con i propri genitori, adolescenti trascurati che non riescono a essere capiti dal mondo e che, per questo, si tramutano in mostri violenti e disperati (terrificante la scena degli omicidi nel college, un’amara verità americana). 
Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti, nessuno sfugge alla denuncia di questa fiction innovativa. 

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Ma allora perché questo scarso 7 di voto?
Una cosa, purtroppo, mi è dispiaciuta di tutta la storia: il finale
Dopo aver guardato ben 11 puntate con il fiato sospeso, la paura negli occhi e mille domande per la testa, ecco che arriva la conclusione a far crollare (o quasi) l’enorme lavoro dei registi. 
Uno sbaglio dietro l’altro. 
La fiction, da seria qual’era, termina con un finale nonsense, ironico e patetico rispetto a tutta la sostanza. 
E’ come se i registi si fossero accorti di avere poco tempo a disposizione e avessero preferito concludere tutto in fretta e furia, senza tener minimamente conto del filo logico dell’intera storia. 
Mi sono vista davanti personaggi senza uno scopo, momenti di serietà rovinati da omicidi accidentali e ironici nello stile de “Le Comiche” (ci mancavano solo le onomatopee CRASH, SOB, BUM dei fumetti, davvero). 


!!!SPOILER!!! (FINALE)
Vivien muore di parto. Ci può anche stare, visto che ospitava nel suo ventre un adorabile non morto. 
Il padre, ancora vivo, riceve in affido questo bambino e promette alla moglie fantasma di amarlo e di vivere esclusivamente per lui. 
Fin qua tutto bene, è una promessa e il momento è toccante (come sapete Vivien compare nel momento in cui Ben tenta il suicidio per raggiungerla). 
…E cosa succede, poi?
Cinque secondi dopo il marito viene fermato dai poltergeist della casa, che prendono il bambino senza un motivo valido (tenerselo? Non sembra, visto che se lo fanno sfuggire poco dopo) e uccidono Ben. 
Ho ancora nella testa l’immagine di Vivien con il broncio/mezzo sorriso, le braccia conserte e il suo scuotere la testa con fare ironico, rassegnato.
Ben, fantasma, le compare vicino alzando le spalle del tipo OPS! CHE PASTICCIO!
Ma dove stiamo, alla Premiata Ditta? 
Segue poi la vicenda della famiglia fantasma riunita (Vivien, Violet e Ben) che cerca di far scappare i nuovi acquirenti della casa facendo vere e proprie scenette alla Paperissima Sprint. 
Ci mancavano solo le paperelle e il Ballo del Qua Qua in sottofondo. 

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Per il resto, nulla da aggiungere. 
Questo è solo un mio parere personale, ho sentito molti di voi esprimere pareri bellissimi su questo finale. 
Forse sono io a non comprenderlo; forse questa chiusura è l’ennesimo scacco matto dei registi per aumentare un’ultima volta la stranezza della fiction. 
Non so, ragazzi. 
Mi aspettavo una conclusione molto più horror e raccapricciante, più chiusa, lugubre, degna di questa fiction superpremiata e amata da tutti, persino dalla critica!

Voi che ne pensate? Lasciate un commento!

giovedì 16 gennaio 2014

E Venne Il Giorno...si spera di no!

Voto: 6,5


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Ieri sera, non avendo nient'altro da fare che godermi la mia insonnia, ho deciso di guardarmi uno di quei film horror-thriller dagli aspetti discutibili: stiamo parlando di E Venne Il Giorno.
Premessa: non sono un'amante del genere, pertanto mi trovate veramente poco ferrata sulla questione. So che il film ha ricevuto molte critiche negative non tanto per i contenuti, piuttosto per lo scarso impegno del regista, il ben noto M. Night Shyamalan, autore di importanti pellicole (prima fra tutti, ricordiamo, Il Sesto Senso).
Insomma, poca roba per un personaggio di spicco come lui.
Io, vi dirò, l'ho trovato un film interessante.
Non stiamo certo parlando di un capolavoro a cinque stelle, sia chiaro, ma resta comunque una storia cupa e originale, che riesce a meritarsi la sufficienza senza troppi problemi.
Diciamocelo apertamente: al giorno d'oggi i film catastrofici non sono facili da produrre; il più delle volte sono situazioni viste e riviste, con trame, personaggi e finali già conosciuti.
In questo film, invece, si crea e si sviluppa qualcosa di assolutamente nuovo.  

Si sta come d'autunno...Copyright by: http://www.mnightfans.com

Partiamo dalla trama.
Ci troviamo in un parchetto di New York, in un giorno come tanti altri.
La gente cammina, gioca, corre, parla al telefono, fa le flessioni...
Improvvisamente, tutto cambia.
Basta una folata di vento per bloccare la situazione e spingere tutte le persone lì presenti a suicidarsi.
Così, d'un colpo. In perfetto silenzio.
Il fenomeno inizierà a estendersi fino a ricoprire un'ampia zona del territorio americano, dalle città più grandi a quelle più piccole.
Si pensa a un attentato terroristico, poi a un errore dovuto alle centrali nucleari per arrivare, solo infine, a trovare una teoria sufficientemente giusta: la colpa è tutta nelle piante.
Alberi, cespugli, prati e fiori comunicano tra loro diffondendo una tossina capace di confondere le persone e spingerle a uccidersi senza un valido motivo.
Il panico è alto, le persone fuggono e noi, spettatori, non possiamo far altro che vivere questa tragica situazione attraverso le vicende dei tre protagonisti della storia.

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Che dire, il film è riuscito a coinvolgermi parecchio.
I colori cupi, i momenti di silenzio durante le scene dei suicidi (finalmente un film senza urla o dialoghi scontati made in America!), l'assenza (o quasi) di sangue e altre schifoserie splatter (si muore in un sol colpo, in gelida calma e stasi), l'ondeggiare delle piante e le continue corse verso una teorica salvezza sono stati capaci di tenermi sveglia e attenta fino alla fine.
In ogni momento la domanda era sempre la stessa: E io cosa avrei fatto?
Esseri umani minacciati e uccisi da quello stesso elemento che gli consente la sopravvivenza: l'ossigeno.
Come spiegheranno a fine film, la natura si è ribellata, senza odio o doppi fini, contro una presenza divenuta scomoda e pericolosa per l'intero ecosistema: l'essere umano.
Le vie di fuga sono poche, se non nulle. 
Con questo meschino ma credibile sistema, l'uomo è destinato a estinguersi.  

È una trama povera, poverissima, ma nel complesso completa e funzionale.
Come ho già letto in diverse recensioni, le critiche più negative vanno ai protagonisti, che con le loro storie personali e i loro rapporti altalenanti non sono stati capaci di coinvolgere lo spettatore.
Non posso che condividere, anche se, a parer mio, l'errore sta solamente in un dettaglio:
I veri protagonisti di questo film, sono le piante.

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lunedì 13 gennaio 2014

I Sogni Segreti di Walter Mitty: un film da vedere e rivedere

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E arriviamo alla seconda recensione di questo mese.
Il film in questione è il ben noto “I Sogni Segreti di Walter Mitty”, diretto e recitato da un Ben Stiller deciso a prendersi sul serio.
È difficile recensire un film del genere. Ben ci accompagna, per ben due ore, in un grande universo focalizzato su un unico, macroscopico insegnamento: Il senso della vita.
Una storia relativamente semplice, che tuttavia ruota intorno a una serie di trame e sottotrame, piccole vicende contenenti ciascuna un significato preciso.
Abbiamo un impiegato sognante ma amante del proprio mestiere, una donna da conquistare, un lavoro da mantenere e un viaggio avventuroso da affrontare.
Questo è, in poche righe, Walter Mitty.

In un solo film s'intrecciano tematiche quali la disoccupazione, i rapporti sociali, l'amore e il costante bisogno di fuggire da una realtà troppo pericolosa da affrontare.
Walter tace, si perde, evita il contatto umano attraverso sogni serafici e incredibili, gli unici capaci di dare un valore a un piccolo uomo come lui.
Ma non bastano, non quando subentrano una serie di problemi concatenati che rischiano di rovinare il mondo in cui vive, quello vero.
È allora che Walter decide di buttarsi, affrontare a viso aperto la vita e le sue sfaccettature, belle e brutte che siano. Piano piano i sogni ad occhi aperti svaniranno, per lasciar posto a un mondo reale che si rivela essere più bello di quello immaginato.
Un mondo, per amarlo, bisogna viverlo fino in fondo.

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Le scelte di Walter avranno delle conseguenze su tutto il resto della storia, che si concluderà con un finale davvero emozionante, anche per il più inflessibile degli spettatori.
Il problema di questo film, a parer mio, è che va rivisto. Visto e poi rivisto, almeno due o tre volte, in modo da poter cogliere appieno ogni singolo senso e sfaccettatura.
Alla prima visione, dunque, mi risulta difficile persino dare un pieno giudizio a un film del genere.
A livello di regia, scenografia (preparate gli occhi!) e contenuti merita indubbiamente la piena sufficienza.
Meravigliosi i panorami, meravigliosi i luoghi e meraviglioso persino lui, Ben, che ha saputo creare e poi dirigere un film così impegnativo. Dopo anni di Zoolander, Duplex e Ti presento i miei, ha dimostrato di valere molto di più di un semplice attore comico.
È cresciuto, e a noi piace così.

Vorrei concludere questa pseudo-recensione con quella che forse mi ha colpito di più.
La frase di Life, la rivista dove Walter lavora e che riassume in toto il significato del film:

"Vedere il mondo, raggiungere mete pericolose, guardare oltre i muri, avvicinarsi, trovarsi l'un l'altro e sentirsi, questo è lo scopo della vita!"

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venerdì 10 gennaio 2014

Frozen: è davvero tutta questa bellezza?

Voto: 6,5

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Ed eccoci qui, con il mio primo post e il mio primo film da recensire.
La scelta cade su Frozen, il film natalizio 2013 della ben nota Disney.
Di ambientazione scandinava/fiabesca, la storia ha come protagoniste due sorelle nonché principesse, di cui una (la maggiore), dotata del potere di controllare il ghiaccio e la neve.
Una forza che, spesso, non riesce a dominare, e che per questo le impedisce di rapportarsi con la società e con la amata sorella.
La situazione arriverà a un punto tale da spingere l'ormai sovrana a separarsi dal proprio regno e a diventare, così, la “regina delle nevi” (la fiaba prende spunto da quella di Andersen).
Spetterà alla sorella minore salvare la situazione, che dopo la fuga della regina non farà altro che peggiorare.

Questo è il mega riassuntone della storia, privo di spoiler e utile per chi vuole conoscere il film.
Da qui in poi analizzeremo invece il cartone per chi l'ha già visto e vorrebbe, come me, esprimere un parere in merito.
Dunque, come potete vedere, il mio voto è un 6 abbondante ma nulla più.
I motivi sono molto semplici e, purtroppo, fastidiosi.
Pur vantando una scenografia spettacolare, con grafica assurda (e ci mancherebbe altro, visto l'ampio budget di realizzazione!) e personaggi esteticamente bellissimi, la Disney non ha saputo “cogliere l'attimo fuggente” finendo, così, con il rovinare un potenziale capolavoro.
A mio parere, ci sono stati una valanga di errori inutili che hanno semplicemente appesantito il film.

Il primo? Costante carrellata di canzoni, di cui la maggior parte senza senso, noiose e fuori contesto. Ne ho contate circa 7 contro le consuetudinarie (e sensate) 4-5.
Record pazzesco.
Diciamocelo apertamente: togliendo le canzoni, il film arriva a durare meno di un'ora.
Qui non si tratta di carenza di idee (a dire il vero, la storia va già bene così), piuttosto di un loro mancato sviluppo o approfondimento.
Insomma, i personaggi ci sono. Perché non approfondirli?
Ad esempio, sarebbe stato bello conoscere il motivo del potere del ghiaccio di Elsa, così come sarebbe stato bello, anzi, strabiliante conoscere meglio il suo carattere, desideri e sogni.
L'unica canzone che ho apprezzato e che ha cercato, nel limite del possibile, di riassumere il concetto, è stata “Let it go”, accompagnata da una scena veramente emozionante che mi ha riportato alla memoria la malinconica e bellissima Ariel.



Non mi fermo a Elsa, le idee avrebbero potuto svilupparsi davvero ovunque: l'origine dei troll e perché vengono chiamati in causa dai sovrani, dove va a finire il ghiaccio di Kristoff (un bambino spettatore non può non chiederselo, soprattutto se si parla di una professione così strana per lui!), il personaggio di Anna (rispetto alla sorella mi ha colpito davvero poco) e, magari, uno sguardo d'insieme sulla storia del regno.
Invece no.
Oltre alle canzoni nosense, purtroppo, abbiamo i soliti personaggi secondari, utili solo a far ridere.
Il problema è che quest'anno proprio non riescono: non stiamo più parlando di buffoni come gli animali di Rapunzel, che qualche risata l'hanno strappata davvero.
La renna Sven, e in particolar modo il pupazzo di neve Olaf, non sono serviti proprio a nulla.

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I pochi punti di forza sovra-elencati (personaggi, grafica, ambientazioni) permettono quindi al film di raggiungere la sufficienza.
Il punto in più lo guadagna grazie a ben due colpi di scena assolutamente nuovi non solo per la Disney ma anche per gli spettatori più affezionati: un principe ipocrita e meschino (disposto persino a uccidere per il potere) e il tanto atteso superamento dello stereotipato e conclusivo 'bacio del vero amore'.

Insomma, Frozen è quel cartone che deve essere visto ma non può essere amato.
Non da una generazione come noi, almeno, forse troppo attaccata alla vecchia e tradizionale Disney piuttosto che a questo enorme e canterino gigante commerciale.
Chi lo sa.

Voi, intanto, fatevi un'idea e postatela qua sotto.

Ciak! Si parla!

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Benvenuti a tutti quanti, persino a me stessa!
La "G" del blog di viaggi & fotografia di "In Viaggio con G" si sposta ora su un altro hobby a lei tanto caro: la filmografia.
Guardare un film è, oltre che rilassante, un piacevole momento culturale, sociale e psicologico: un film, se ben riuscito, può permetterci davvero di provare le più svariate emozioni, nonché aiutarci a sviluppare il nostro senso critico.
Insomma, i film, come disse qualcuno, sono la nuova letteratura.

Motivo per cui ho deciso di 'aprire' questo blog che, come l'altro, non è altri che un piccolo spazietto online dove discutere sui vari film visti, dalle nuove uscite alle meno recenti.
E' indubbiamente un ottimo motivo per creare dialogo, condividere i miei pensieri con i vostri e cercare di scoprire pellicole che prima non conoscevamo! Meglio di così!
Spero davvero di riuscire in questo pacifico intento, così come spero di "conoscervi" tutti al più presto!

Buona navigazione!